sabato 30 novembre 2013

LIBRO: "Io che amo solo te", di LucaBianchini

(Recensione di Palma Lavecchia)

L'intuizione mi è piaciuta: esiste un mondo dietro certi matrimoni pugliesi, e prima o poi andava raccontato. Abbiamo la fortuna (noi pugliesi) di vivere una Terra ricca di tutto.. di colori, odori, idiomi, tradizioni, connotazioni particolarissime degli autoctoni, modi di fare, modi di dire.. Insomma, non ci facciamo mancare niente. E se un filo trasparente attraversa tutte queste perline, raccontando una storia d'amore che si perde nel passato e si ritrova (perché le storie vere fanno giri immensi, e poi ritornano) nel presente, il romanzo che ne vien fuori ha già di per sé gambe per camminare.
Però.. però.. a mio modestissimo parere, per riuscire davvero nell'intento, per cogliere in modo puntuale ogni possibile aspetto e trattarlo come avrebbe meritato, l'autore non poteva essere né uomo, né del nord. Mi dispiace per Luca Bianchini, che è senza dubbio una bella penna, scorrevole e serena, ma il fatto di essere uomo e del nord ha un po' "mortificato" la splendida intuizione di fondo.
Infatti, per esempio, lungo il romanzo si incontrano frasi dialettali appiccicate in parti del discorso in cui poco c'azzeccano; inoltre, si ha chiara la percezione che chi racconta è una persona che ha subito la fascinazione di certi luoghi, ma che non sono suoi, non li porta dentro. Ma, soprattutto, l'autore compie delle leggerezze, impossibili per una donna, nella descrizione di certi dettagli, nella partecipazione più emotiva all'evento, una qualche pennellata al vestito della sposa. Il vestito della sposa: non se ne fa minimamente cenno. Eppure, quando qualcuno ci sta raccontando di un matrimonio a cui non abbiamo preso parte, cosa gli chiediamo immediatamente? "Com'era il vestito della sposa?" Il vestito della sposa è l'elemento catalizzatore di tutto, nel senso che a distanza di anni, noi donne dimentichiamo tanti dettagli della cerimonia a cui abbiamo partecipato, quello che abbiamo mangiato, chi c'era, quanto si è ballato, ma la suggestione che ci ha regalato il vestito della sposa è, normalmente, quella che ci rimane decisamente più impressa. Ma Bianchini non ne parla..
Eppure, non è questa la lacuna più sostanziale. Secondo me, il vero capitombolo lo fa nella narrazione di certi stati d'animo, nella rappresentazione di certi momenti, che per forza costituiscono il fulcro della storia. Un esempio: il momento in cui Mimì racconta a suo figlio, e Ninella a sua figlia, della loro storia d'amore. Il tutto viene sorprendentemente liquidato in poche battute; ma cazzo.. un padre ed una madre stanno dicendo al proprio figlio e figlia che il suocero e la suocera, rispettivamente, sono stati per l'una e per l'altro il grande amore e che la fiamma non si è mai spenta... e questi la chiudono così, senza farci attraversare il conflitto emotivo che potrebbe insorgere a difesa dell'altro genitore, quello "tradito", che comunque resta un genitore? Senza farci davvero avvertire le vibrazione di ognuno di quei personaggi? L'epicentro della storia, anziché far vivere il vero terremoto emozionale, si riduce ad un flebile tremore..
E, purtroppo, questa superficialità narrativa, sempre a mio modestissimo parere, ritorna in più punti, e non ultimo nel finale, quando le emozioni dei due personaggi sono descritte solo nella rappresentazione più esterna e non viene quasi per nulla indagato ciò che stanno davvero vivendo dentro. peccato.
A parte tutto ciò, il romanzo è molto piacevole! :)   

 

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