mercoledì 29 gennaio 2014

TEATRO - Core de Roma a teatro: quando il tifo diventa solidarietà

 
 
Si è svolta nella serata del 28 gennaio, presso la Sala Teatro dell’Hotel Capannelle di Roma, la quarta edizione di “CoredeRoma a teatro. CoredeRoma è un’associazione di tifosi romanisti e amanti di Roma città, che da ben 12 anni è presente nel panorama del tifo calcistico, distinguendosi per le tante iniziative benefiche. E’ ben presente anche nel web con uno dei siti più cliccati e particolari (www.corederoma.it), pieno di notizie, filmati, rubriche e con un corposo spazio dove i suoi simpatizzanti possono dialogare giornalmente. Da quattro anni, appunto, questa operosa associazione organizza serate di cabaret di ottimo livello, con noti artisti, perlopiù provenienti da programmi di successo come S.C.Q.R., Colorado o Made in Sud che gratuitamente, ogni anno, salgono volentieri sui palcoscenici allestiti appositamente per loro. Gli incassi sono sempre devoluti totalmente in beneficenza alle Onlus che CoredeRoma sostiene: “Il Ponte” e “ASD Prendi la palla al balzo”. La prima, impegnata nel sostegno di ragazzi con disagi psicomotori, mentre la seconda è un’associazione di genitori che credono nello sport e nel gioco come fattore di crescita e socializzazione dei loro figli. Toccante la presenza e la testimonianza di Ilaria Cucchi, intervenuta a seguito del sostegno morale ottenuto da CoredeRoma durante il processo agli imputati per la morte del fratello, un caso che non cessa di suscitare indignazione.
In collaborazione con la B&G Live, la serata si è svolta nella bellissima cornice della sala teatro dell’Hotel Capannelle di Via Siderno, con un’organizzazione impeccabile ed elegante e sul palco si sono alternati artisti come Gennaro Calabrese, Fabrizio Gaetani, Katamura & Seguacio, “Er transenna” alias Dani Bra e altri, che hanno intrattenuto nell’ilarità generale i circa 450 spettatori accorsi. Il credo degli organizzatori è socializzare sul serio, dal vivo, non virtualmente e ogni anno riescono a far uscire di casa, per una giusta causa, centinaia di persone. In questo periodo, si può ben dire che sia un’impresa. A chiudere lo spettacolo, la partecipazione straordinaria di Enzo Salvi e Mariano D’Angelo che hanno interpretato uno dei loro primi sketch e, nella sorpresa generale, Maurizio Battista che, inaspettato, ha pensato bene di venire a salutare il pubblico e gli organizzatori di sua spontanea volontà. Hanno condotto, brillantemente, la bellissima Francesca Brienza insieme al comico Marco Capretti, immancabile protagonista in ogni edizione.
Paolo Leone

sabato 30 novembre 2013

LIBRO: "Io che amo solo te", di LucaBianchini

(Recensione di Palma Lavecchia)

L'intuizione mi è piaciuta: esiste un mondo dietro certi matrimoni pugliesi, e prima o poi andava raccontato. Abbiamo la fortuna (noi pugliesi) di vivere una Terra ricca di tutto.. di colori, odori, idiomi, tradizioni, connotazioni particolarissime degli autoctoni, modi di fare, modi di dire.. Insomma, non ci facciamo mancare niente. E se un filo trasparente attraversa tutte queste perline, raccontando una storia d'amore che si perde nel passato e si ritrova (perché le storie vere fanno giri immensi, e poi ritornano) nel presente, il romanzo che ne vien fuori ha già di per sé gambe per camminare.
Però.. però.. a mio modestissimo parere, per riuscire davvero nell'intento, per cogliere in modo puntuale ogni possibile aspetto e trattarlo come avrebbe meritato, l'autore non poteva essere né uomo, né del nord. Mi dispiace per Luca Bianchini, che è senza dubbio una bella penna, scorrevole e serena, ma il fatto di essere uomo e del nord ha un po' "mortificato" la splendida intuizione di fondo.
Infatti, per esempio, lungo il romanzo si incontrano frasi dialettali appiccicate in parti del discorso in cui poco c'azzeccano; inoltre, si ha chiara la percezione che chi racconta è una persona che ha subito la fascinazione di certi luoghi, ma che non sono suoi, non li porta dentro. Ma, soprattutto, l'autore compie delle leggerezze, impossibili per una donna, nella descrizione di certi dettagli, nella partecipazione più emotiva all'evento, una qualche pennellata al vestito della sposa. Il vestito della sposa: non se ne fa minimamente cenno. Eppure, quando qualcuno ci sta raccontando di un matrimonio a cui non abbiamo preso parte, cosa gli chiediamo immediatamente? "Com'era il vestito della sposa?" Il vestito della sposa è l'elemento catalizzatore di tutto, nel senso che a distanza di anni, noi donne dimentichiamo tanti dettagli della cerimonia a cui abbiamo partecipato, quello che abbiamo mangiato, chi c'era, quanto si è ballato, ma la suggestione che ci ha regalato il vestito della sposa è, normalmente, quella che ci rimane decisamente più impressa. Ma Bianchini non ne parla..
Eppure, non è questa la lacuna più sostanziale. Secondo me, il vero capitombolo lo fa nella narrazione di certi stati d'animo, nella rappresentazione di certi momenti, che per forza costituiscono il fulcro della storia. Un esempio: il momento in cui Mimì racconta a suo figlio, e Ninella a sua figlia, della loro storia d'amore. Il tutto viene sorprendentemente liquidato in poche battute; ma cazzo.. un padre ed una madre stanno dicendo al proprio figlio e figlia che il suocero e la suocera, rispettivamente, sono stati per l'una e per l'altro il grande amore e che la fiamma non si è mai spenta... e questi la chiudono così, senza farci attraversare il conflitto emotivo che potrebbe insorgere a difesa dell'altro genitore, quello "tradito", che comunque resta un genitore? Senza farci davvero avvertire le vibrazione di ognuno di quei personaggi? L'epicentro della storia, anziché far vivere il vero terremoto emozionale, si riduce ad un flebile tremore..
E, purtroppo, questa superficialità narrativa, sempre a mio modestissimo parere, ritorna in più punti, e non ultimo nel finale, quando le emozioni dei due personaggi sono descritte solo nella rappresentazione più esterna e non viene quasi per nulla indagato ciò che stanno davvero vivendo dentro. peccato.
A parte tutto ciò, il romanzo è molto piacevole! :)   

 

martedì 5 novembre 2013

FILM - "Sole a catinelle", di Gennaro Nunziante

(Recensione di Palma L.)

Dei film di Checco mi piace la profonda serietà. No, non sto affatto scherzando: è davvero così. E quest'ultimo ne è la conferma. Si ride, sì.. perché è matto lui, perché tira fuori dei personaggi a dir poco atipici, baciati da massicce dosi di fortuna, smodatamente sentimentali e prioritariamente cinici al tempo stesso, e calati in realtà forti e ben connotate. Ma se poi si pensa ai messaggi, neppure troppo subliminali, che Checco trasmette, la cosa si fa seria.
Si parla di crisi. La CRISI. La crisi che è alimentata dal pessimismo, dal catastrofismo propinato dai media e che stronca anche le più pallide velleità di far girare il soldo. Allora, questo poliedrico e straordinario attore sforna un personaggio estremamente positivo, seppur sfigato per eccellenza, che parte dal nulla, dai fallimenti e dalla perdita di credibilità agli occhi del figlio, per costruirsi - proprio grazie al suo eccesso di positività - un insperato, imprevedibile, inimmaginabile presente ed una proiezione addirittura ribaltata del suo modo di pensare (che andrà dal fascismo al comunismo spinto) nel suo futuro.
Una delle scene clou è il modo in cui tira fuori Lorenzo dal mutismo (altrettanto clou è pure la scena in cui nel mutismo ce lo rimanda, quando alle 4 del mattino gradirebbe più dormire che starselo a sentire). Il messaggio che ne viene fuori è che tante volte cerchiamo risposte astruse laddove basterebbe un approccio più elementare, essenziale, alle cose. La mamma di Lorenzo ha cercato in tutti i modi di farsi ascoltare da suo figlio; Checco c'è riuscito nel modo più semplice: alzando oltremodo la voce.
Ecco, i suoi film sono questo: sferzate di positività. Il farti alzare da quella poltrona con la netta sensazione che anche nella tua Vita, se decidi di metterti in gioco, qualcosa di straordinario può accadere. E ditemi se questa morale non è profondamente seria.. Pensiamoci.

giovedì 24 ottobre 2013

TEATRO - "Semi di Zucca" al teatro Ambra alla Garbatella

)Recensione di Paolo Leone)


Un monologo serrato, una lunga mitragliata di battute comiche ma raffinate, mai banali, a volte demenziali. Mario Zucca, volto noto in televisione nelle prime edizioni di Zelig, ma anche doppiatore di Michey Rourke e autore di diversi monologhi teatrali, si è esibito nel rinnovato Teatro Ambra alla Garbatella, il popolare rione romano. Un’ora e più di racconti dissacranti sulle figure principali della sua e nostra infanzia, da un padre assente e distratto, al parroco del quartiere, dalle vacanze intelligenti ai nonni. Un talento il suo, resistente agli anni, che meriterebbe un maggior seguito. Una capacità mnemonica che impressiona, un ritmo talmente sostenuto che a volte si fa fatica a seguirlo e mentre metti a fuoco la battuta precedente già ne ha lanciate altre due. Mario Zucca meriterebbe un maggior seguito, cosa che purtroppo non è avvenuta ieri, in un teatro meravigliosamente rinnovato, ma desolatamente vuoto. Bravo lui, grande professionista, a recitare con verve davanti a soli 13 spettatori paganti. Ma peccato anche per questo teatro, che presenta una stagione veramente interessante e a prezzi davvero stracciati. La speranza è che sia stata una di quelle serate particolari, in cui tutti gli elementi negativi si concentrano e che non sia disinteresse verso chi, con fatica e impegno, porta la cultura anche nei quartieri più popolari di questa, come di altre città italiane. Se servissero solo i grandi nomi per far uscire la gente dalle case, per staccarli dalla televisione, allora saremmo davvero messi male. Speriamo vivamente che i “semi di zucca” seminati in questi giorni, possano far fiorire l’interesse verso il teatro anche alla Garbatella.

venerdì 18 ottobre 2013

TEATRO - "Ladro di Razza"

(Recensione di Paolo Leone)

Grazia, delicatezza, realismo, poesia, leggerezza e profonda riflessione. Un acquerello dai colori tenui, pur tratteggiando uno spaccato di vita dura, drammatica. Questa è la forza, la caratteristica primaria di un grande commediografo come Gianni Clementi, non a caso uno dei più apprezzati in Europa, che si conferma nel bellissimo spettacolo “Ladro di razza”, in scena al Teatro Ghione di Roma. La storia di tre esistenze che tentano di sopravvivere nelle ristrettezze di una Roma, nel 1943, in mano ai tedeschi. Il simpatico truffatore Tito (un superbo Massimo Dapporto), appena uscito da Regina Coeli, per sfuggire alle grinfie del fantomatico usuraio “Atto de dolore”, chiede rifugio nella baracca in cui vive il suo amico Oreste (Blas Roca Rey), umile operaio delle fornaci di Valle Aurelia. Senza alcuna voglia di trovare un lavoro, escogita strampalati espedienti per rimediare il denaro da restituire al violento “strozzino”, regolarmente
 destinati al fallimento. Il caso, poi, fa sì che il furfante incontri Rachele (Susanna Marcomeni), dirigente delle fornaci in cui lavora l’amico, ricca zitella ebrea che vive in un lussuoso appartamento del ghetto di Roma. Ingolosito dalle ricchezze a facile portata di mano, il fascinoso Tito escogita un piano per risolvere tutti i suoi problemi: far innamorare la donna, ottenere la sua fiducia per poi derubarla di tutti i suoi averi. Riesce ad entrare nelle sue grazie, diventa di casa, tutto è pronto per il grande colpo. E’ l’alba del 16 ottobre 1943, i nazisti irrompono nel ghetto…Tito ha, forse per la prima volta nella sua vita, un sussulto di coscienza.
Non sveliamo del tutto, come sempre, il finale, ma la commedia ci lascia una tale sensazione di grazia, di bellezza nella sua scrittura, che quasi diventa irrilevante. Massimo Dapporto si conferma un fuoriclasse, la Marcomeni riesce ad essere drammatica ed esilarante, Blas Roca Rey è l’anima buona della storia e riesce a interpretarla con una naturalezza impressionante. La comicità non è mai fine a sé stessa e i tre personaggi riescono ad esprimere tutta la loro umanità, tanto da farci ridere e commuovere profondamente. Manna per il teatro.
 “Ladro di razza”, che avevamo visto un paio di anni fa con altri interpreti, ribadisce l’assoluto valore di Gianni Clementi, penna preziosa della drammaturgia italiana.

sabato 12 ottobre 2013

FILM – “CATTIVISSIMO ME 2”, di Pierre Coffin e Chris Renaud


(Recensione di Palma Lavecchia)

Non me ne vogliate se non ho scelto un film di un certo spessore culturale, ma piuttosto un solletico ludico tendenzialmente rivolto ai bambini. E’ che ritengo che, in un momento storico complicato come questo, la parte di noi che ne esce più sofferente, peggio trattata, è proprio il fanciullino, tanto caro al Pascoli, e che risiede in ognuno, grande o piccolo che sia. Allora, almeno portiamolo al cinema! Perché il film fa ridere e sorridere, non solo i bambini. Ho un unico rammarico: non aver visto il primo. Ma vi dico subito che non serve, seppure cercherò di rimediare quanto prima. La trama è semplice, i sentimenti tangibili, i personaggi familiari fin da subito. Ciò che più mi ha colpito, sinceramente, è la mimica: più comunicativi di tanti attori in carne ed ossa, certe volte sembrano davvero animati da un alito di Vita e meritevoli di un premio Oscar. Qualcosa della storia ricorda i Gremlins. Ve li ricordate i Gremlins, quegli adorabili cuccioli di non so cosa di quel film anni Ottanta, che se però venivano malauguratamente a contatto con l’acqua si trasformavano in creature mostruose e cattive? I Minion, parimenti, è un popolo di esserini gialli e variegati, di una simpatia disarmante, ma che il contatto con una certa sostanza trasforma in esseri abominevoli e tremolanti. Tranquilli, però, perché come nelle migliori favole, tutto si risolverà per il meglio e il bene vincerà sul male. E forse è proprio questo che ci piace delle storie per bambini, così tanto diverse dai finali di certe storie per adulti e, tanto meno, dalla realtà.. 


venerdì 11 ottobre 2013

LIBRO - "50 sfumature di nero", di E.L. James

(Recensione di Patrizia Cimmelli)

Il secondo libro della trilogia prende in maniera diversa rispetto al primo, "50sfumature di grigio". Mentre il primo si concentra molto sulla parte erotica, l'attrazione sessuale, il secondo è piu romantico, nasce il grande amore.....il sogno di ogni donna o ogni coppia, un grande amore completato da una forte e grande passione. Il primo mentre lo stai leggendo ad un certo punto pensi di mollarlo ti sembra noioso, ripetitivo, finche poi alla fine non inizia con la nascita del sentimento che ti porta a leggere il secondo. Quest'ultimo invece ti cattura anche per la souspance di alcuni avvenimenti. Nel complesso, al di la della parte erotica il libro nonostante è stato tradotto in italiano è scritto molto bene, in fondo i protagonisti sono persone molto colte ed intelligenti. E concludo pensando che sarebbe molto indicato consigliarlo agli uomini, in fondo la bella Anstasia Steele è una perfetra sottomessa al suo uomo!!!