Ci sono storie che si narrano da sé nel senso che l’autore le ha dentro e non deve fare altro che metterle nero su bianco. Ed è questo ciò che penso dell’ultima fatica letteraria compiuta da Giuseppe Marletta, scrittore di narrativa alla sua seconda esperienza, che con il suo ultimo libro “Le verità inattese” edizioni “C’era una volta” sono certo non tarderà ad imporsi all’attenzione del grande pubblico. Il libro, che è stato presentato il 24 gennaio u.s. presso la Provincia Regionale di Siracusa, ha ottenuto i patrocini gratuiti del comune di Mineo e dell’Assessorato alle Politiche Culturali e del Centro Storico di Roma Capitale. Ma veniamo al romanzo.
La storia ha come sfondo un paesino della Sicilia orientale
negli anni ‘60 e ’70 e la trama è incentrata su due protagonisti principali ed
altri secondari ma non di minore importanza. Due ragazzi, poco meno che
adolescenti che si incontrano tra i banchi di scuola e che il destino farà
prima allontanare, poi rincontrare e ancora allontanare e poi… Al centro della
storia ci sono i carabinieri della locale Stazione che indagano per un omicidio
di una persona, figlio di un ricco e potente
imprenditore dello stesso paesino.
L’opera può definirsi di genere giallo, ma solo in apparenza.
Certo del giallo ha tutti gli ingredienti: un bell’intreccio, una coinvolgente
suspense, una particolare e curata descrizione tecnica degli elementi
investigativi e, infine, l’esito delle indagini che costituisce, e non
tradisce, il titolo del romanzo la cui attesa nel lettore riesce, come si suole
dire, a tenerlo incollato – letteralmente – dalla prima all’ultima pagina. La
natura “giallista” (mi sia consentito il termine) è insita nell’autore non
foss’altro perché egli è un ufficiale dei carabinieri, attualmente in servizio
nella provincia di Parma, e può vantare al suo attivo diverse e diversificate
esperienze di natura investigativa.
Ma il romanzo apre, invero, anche ad altre riflessioni. La trama narra le vicende di due famiglie povere, quella di
Andrea e Giulia, i due protagonisti principali. I loro padri sono
rispettivamente operaio e contadino che sbarcano il lunario grazie alla forza
delle loro braccia. Essi, nel momento in cui le condizioni lavorative
peggiorano, sono costretti a fare scelte radicali per assicurare il pane alle
rispettive famiglie: emigrano in cerca di ulteriori possibilità. E quelle
scelte si ripercuoteranno, nel bene e nel male, sui figli che le dovranno, loro
malgrado, accettare. Quelle vicende familiari e il susseguirsi degli eventi
mettono in evidenza sul piano esistenziale l’assunto di marxiana memoria
secondo cui le condizioni umane di
ognuno sono dettate dalla ricchezza e dunque, detta in altre parole, la vita di
ognuno di noi appare drammaticamente imposta dalle condizioni materiali,
cosicché l’uomo, benché reputandosi padrone del proprio destino, non lo è
affatto.
E la storia di Andrea e Giulia sembra drammaticamente confermare
questa teoria. Ma c’è anche dell’altro. Nella tragica scelta di Giulia ho visto la sua dichiarata
accettazione alla vita; vi ho scorto in quella giovane donna una laica Rita da
Cascia, che consapevolmente accetta su di sé le sventure della sua famiglia e
se ne fa carico.
Devo dire che Giulia è il personaggio che in assoluto mi ha
commosso. La tragicità del romanzo e della vita in esso narrata (e d’altronde
che cos’è il romanzo se non la narrazione della vita), dunque, è tutta in
questa giovane donna che consapevolmente accetta il tragico divenire, sebbene
alla fine…
L’autore ha dimostrato di possedere, inoltre, una accurata
competenza storica ed una consapevole coscienza civica, oltre che una provata
erudizione nel campo dell’arte e della letteratura. Nel dipanarsi della trama, infatti, egli non ha omesso di
mostrare, attraverso una concreta dialettica volutamente instaurata tra i vari
personaggi in causa, per esempio le atrocità compiute dal regime fascista; gli
scempi di una irrazionale opera di devastazione ambientale condotta in nome del
progresso scientifico in particolare nella provincia aretusea e le sofferenze
che i nostri connazionali dovettero affrontare del tragico fenomeno migratorio
verso il Nuovo Continente che segnò l’inizio del secolo scorso. Come si noterà
il romanzo è qualcosa di più di un semplice giallo; è un romanzo complesso e
poliedrico, ricco di riferimenti storici, sociali ed economici realmente
accaduti. Particolarmente curata è nel libro la descrizione architettonica
delle chiese del paesino dove ha luogo la storia, e molti sono i riferimenti
alla letteratura russa, francese e italiana, in particolare quella che fa capo
al clima del Neorealismo francese e Verismo italiano col quale la trama sembra
avere specifiche e dirette affinità.
Un ultimo breve riferimento mi sembra doveroso farlo alla scrittura di
Marletta. Essa è assolutamente coinvolgente, capace di tenere fermo il lettore
sulle oltre 480 pagine e farlo attendere in attesa che gli eventi si
dispieghino. Dimenticavo un aspetto importante: è un bel romanzo, leggetelo!
Un libro che merita di esser pubblicizzato e letto.
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